domenica 26 gennaio 2020

Mr Lampadina e il divano volante


Illustrazione Francesca Dutto
In un paese di confine, al limitar di un bosco, sorgeva, circondata da alberi secolari, la casetta, alquanto sgangherata, di un altrettanto stravagante personaggio, un inventore da tutti conosciuto come Mr Lampadina. Il motivo di questo nome tanto strano, era la sua abitudine piuttosto singolare, di indossare copricapi ” luminosi ” sormontati da candele, abat-jour o molto più spesso decorati da ingombranti lampadine che si accendevano improvvisamente quando un’idea illuminava la sua mente geniale. Mr Lampadina era un gran pasticcione e per gli abitanti del paese, era un inventore inutile, che sprecava il suo tempo a far saltare in aria la sua casetta un giorno si e l’altro pure, per questo motivo, la gente lo evitava e lui si teneva a debita distanza del centro abitato, nella più totale solitudine.
Fù per questo motivo che, quando l’anziana signora, che camminava a stento appoggiandosi al suo bastone di legno nodoso gli fece visita, la sorpresa fù così grande che quasi a Mr Lampadina non venne un colpo ! Così rimase in silenzio dietro all’uscio, deciso a non aprire e quando la vecchietta bussò alla porta, lui la cacciò in malo modo. Nel corso della sua vita non aveva perso solo il contatto umano ma anche la buona educazione : ” Non ho tempo da perdere, vada via ! “ Gridò ” Mr Lampadina mi apra per favore, lo so che è in casa, ho sentito l’esplosione poco fa… Non mi faccia aspettare sono anziana e ho fatto parecchia strada sulle mie vecchie gambe rinsecchite per venire a farle visita ! ” La vecchia bussò nuovamente con il suo bastone e ancora una volta Mr Lampadina gridò : ” Non ho tempo per nessuno, le ho detto di andarsene ! ” “ Lo so lo so che lei è molto impegnato a far esplodere la sua abitazione, ad inventare marchingengni spettacolari ed ingegnosi e chissà quale altra diavoleria. Ma io sono venuta fin qui perchè ho bisogno del suo aiuto e non c’è nessun altro che possa aiutarmi, mi creda. E sia ben chiaro, non ho nessuna intenzione di andarmene. Io vorrei che lei inventasse qualcosa per me ! ”A quelle parole gli occhi di Mr Lampadina si illuminarono  e il suo atteggiamento cambiò. Era la prima volta che qualcuno si rivolgeva a lui per chiedergli di inventare qualche cosa. Aprì l’uscio timidamente facendosi da parte : ” Prego si accomodi, le preparo un thè ” disse facendo entrare in casa la vecchina.
Quando la signora entrò, rimase senza parole. La casetta da fuori non era che un ammasso di assi e lamiera messe insieme alla rinfusa, aveva il comignolo tutto storto, che sembrava più la ciminiera di una fabbrica dato che tossiva giorno e notte denso fumo nero. Le finestre altro non erano invece, che un insieme di pezzi di vetro rotti, attaccati con lo scotch e ricoperti di plastica. Sul davanzale di una di queste era persino diligentemente appoggiato, rattoppato come meglio si poteva, anche un povero vasetto di terracotta al cui interno vi era appassito un misero fiore.
Ma ciò che si presentava all’interno era tutt’altro : un minuscolo ma graziosissimo salotto dall’aspetto accogliente, composto da due divanetti, un soffice tappeto e un tavolino rotondo con angolo da thè già perfettamente allestito, come se Mr Lampadina aspettasse da sempre che qualcuno gli facesse visita da un momento all’altro e poi una bella cucina dai toni caldi in ordine e pulita  con una credenza in stile provenzale. Sul ripiano più alto una fragrante torta appena sfornata attendeva soltanto di essere assaggiata e alle finestre, dai vetri scintillanti e perfettamente puliti, incorniciati da deliziose tendine beige a minuscoli pois erano appoggiati sui davanzali tanti graziosi vasetti di piante grasse e poi piante e fiori sparsi dappertutto di ogni specie, tropicali e rigogliose. Dappertutto un delizioso profumo di pulito e di buono.
La signora era sinceramente sbigottita. In un angolo del soggiorno, accoccolato sopra una poltroncina, russava beato un bellissimo gatto persiano, dal pelo foltissimo e tanto pettinato da sembrare una palla pomposa, era appallottolato su un cuscino di velluto. La vecchia vide con sorpresa  che dal pelo dell’animale fuoriusciva qualcosa, si sistemò quindi gli occhiali per osservare meglio e strabuzzando gli occhi vide che tante minuscole spazzole fuoriuscivano silenziose dal pelo dell’animale e si mettevano al lavoro spazzolando meticolosamente. Il gatto non si mosse di un millimetro continuando a russare.
A questo punto la signora era veramente confusa e cercò con lo sguardo una sedia per sedersi, le girava un pò la testa : ” Tutto questo è impossibile ! “  Esclamò, e guardandosi le mani cominciò a contare : “ Da stamattina mi è sembrato di sentire almeno cinque esplosioni ! E ‘ assurdo ! Impossibile ! Se la sua casa fosse davvero esplosa cinque volte dalle sei…Come può adesso essere tutto così perfetto? ” La signora si guardava intorno meravigliata ” Questa è magia nera, perchè da fuori questa casa cade a pezzi !” Scosse la testa in senso di diniego ” Sembra cadere a pezzi, vero ? ” Disse con orgoglio Mr Lampadina. La Signora a questo punto si abbandonò esausta sopra al divanetto e non fece nemmeno in tempo a fare un cenno di assenso con la testa, che da non so dove era saltato fuori un tavolino con un vassoio e una graziosa tazza da thè, un’accurata selezione di bustine e tisane profumatissime e un bollitore. ” Si..Si ecco ” Disse balbettando ” Tutto questo è pazzesco, non riesco proprio a capire come ci riesce, lei che vive in questo modo qui…Ops mi scusi sono stata sgarbata. Lo vede ? I pregiudizi della gente ? ” Proprio accanto a lei era sbucata una lucciola robot, perfetta in ogni dettaglio ma totalmente meccanizzata con due lunghe antennine telecomandate, che le porgeva un minuscolo vassoio con zollette di zucchero, latte e fettine di limone. La signora si servì, sempre più meravigliata, seguendo il robottino che scompariva in cucina.” Si si lo so..la gente mi crede un pazzo. Ma torniamo alle mie invenzioni, vedo che lei è interssata al mio lavoro è la prima volta in vita mia che mi capita. Sa questa è quella di cui vado più fiero ! ” si schiarì la voce. ” L’ Ho chiamata D.L.A.S  che sta per Deludi Ladri e Anti-Sisma, un sistema brevettato antisisma  e antifurto appunto diciamo che serve un pò ad entrambe le cosè, rimedia istantaneamente in caso di calamità ehm “ Si schiarì nuovamente la voce “ naturale, diciamo così e tiene lontani i ladri eh eh !” “Ma Mr Lampadina è eccezionale, fantastica, potrebbe essere l’invenzione del secolo, ha provato a promuoverla in qualche modo ? La gente non conosce le sue invenzioni, mi creda. Pensa che lei sia un pasticcione…” “Ci ho provato…Ma io non sono capace di parlare con la gente, e la gente non si fida di me…” ” Forse non lo fa nel modo giusto. Ma io credo di avere la soluzione, perchè ho un problema comune a molte persone in paese e sono certa che lei con il suo straordinario talento sarebbe in grado di aiutare me e anche tutti gli altri. Mi ascolti, le spiegherò il motivo che mi ha spinto a venire fino a qui.” Fece una pausa, sorseggiando il suo thè, poi riprese
” Io sono la nonna di Luca, un bambino intelligente che frequenta con profitto le scuole elementari e ha 10 anni. Come quasi tutti i bimbi del paese, dopo la scuola è affidato a noi nonni, perchè i genitori lavorano in Città e noi sa, cosa vuole Mr Lampadina, siamo anziani, facciamo quello che possiamo. Preparo il pranzo e poi Luca fà subito i compito da bravo studente e fin qui non avrei nulla da lamentarmi, se non fosse che subito dopo, ai miei tempi non esisteva, accende la televisione, si siede sul divano e non si alza più fino a quando non arriva sua madre. Non riesco a convincerlo in alcun modo. Non esiste il giardino, non ci sono giocattoli, il pallone, il giuoco delle carte. Nulla lo fa desistere dallo stare tutto giorno incollato davanti a quella scatola parlante con l’espressione inebetita e i suoi compagni di giochi non vengono a bussare alla porta nemmeno più… Sono dinnanzi alla tv anche loro esattamente come lui. Siamo tutti disperati. Ho bisogno di lei, tutti in paese abbiamo bisogno di lei, Mr Lampadina ! Lei ci deve aiutare ! ” A quelle parole, l’anziana signora scoppiò a piangere Mr Lampadina, si commosse a quelle parole e si mise subito a pensare, iniziò a camminare su e giù per la stanza come un forsennato e improvvisamente una delle lampadine che portava sulla testa si illuminò. La signora lo guardò speranzosa, sapeva bene cosa significava quella luce. L’inventore a questo punto la congedò con la promessa che si sarebe fatto sentire al più presto.
Per qualche giorno di Mr Lampadina, l’anziana signora non ebbe notizie, sentì esplodere la sua casetta almeno quattro volte fino a quando, all’alba del terzo giorno, udì suonare al campanello. Andò ad aprire e con sorpresa, si ritrovò davanti il bellissimo gatto persiano, seguito da una delle lucciole robot ” Ciao bel micetto cosa ci fai qui ? ” In men che non si dica un piccolo marchingegno silenzioso, fuoriuscì dal voluminoso pelo del gatto, posizionandosi davanti al suo musetto ” Mia cara signora io non sono un micetto per sua informazione, ma una rara specie di persiano del medio oriente e il mio padrone l’illustrissimo inventore Mr Lampadina mi ha incaricato di ritirare il suo divano per poter effettuare il lavoro da lei richiesto. Con permesso. ” Fece il gatto mentre entrava altezzoso in casa, pulendosi rispettosamente le zampe sul tappetino prima di entrare. La signora rimase a bocca aperta e si spostò facendo entrare gli strani animali, poi si riprese dallo stupore, ormai che aveva conosciuto le stravaganze delle quali era capace Mr Lampadina, iniziava quasi ad abituarsene in un certo qual modo : ” E come pensi di ritirare tu e la tua minuscola amica il mio divano e trasportarlo fino al bosco ? ” ” Signora “ Rispose il gatto quasi offeso e voltandosi verso la lucciola che invece era divertita disse : “ A quanto pare lei sottovaluta un grande inventore ! ”
La signora mostrò al gatto ed al suo aiutante, il divano  sul quale Luca trascorreva tutto il suo tempo libero, gli animali si posizionarono di fronte ad esso, esattamente al centro.” Bene signora, resti indietro e osservi, ora vedrà di cosa è capace il mio padrone” Un altro apparecchio uscì dal suo pelo e si posizionò di fronte ai suoi occhi come per proteggerli, poi la lucciola si illuminò, gettando un potente raggio verde sul divano, rimpicciolendolo e rimpicciolendolo fino a farlo diventare grande come una crocchetta per gatti. A questo punto sempre la lucciola sparò un altro raggio incelofanatore impermeabilizzando il microdivano ed infine il gatto si avvicinò e si limitò ad ingoiare non senza una certa eleganza, la miniatura in un sol boccone. L’intera operazione durò meno di un minuto.
Il giorno successivo alle dieci in punto la signora sentì suonare alla porta, andò ad aprire ma non trovò nessuno fuori dall’uscio, mentre stava per chiudere la porta, notò una busta bianca appogiata allo zerbino.” Chissà chi l’avrà lasciata…” Mormorò mentre stava per chinarsi e raccoglierla quando questa questa si sollevò librandosi in aria da sola e aprendosi mostrò il suo contenuto : un foglio bianco con poche righe scritte a mano e il divano ancora formato crocchetta.” Cara Nonna di Luca, ecco qui il suo divano, pronto per essere utilizzato, scusi se non sono potuto venire di persona ma sono molto impegnato. Posizioni il divano al suo posto in soggiorno, tornerà alle sue normali proporzioni. Tornato da scuola lasci che Luca faccia ciò che fà di solito ma si assicuri di lasciare aperta la finestra in soggiorno e di essere seduta accanto accanto a lui prima che le campane della Chiesa in Piazza suonino le quattro in punto. E’ tutto. ” Tornato da scuola Luca pranzò come al solito e poi fece i compiti diligentemente osservato dalla nonna intenta a sparecchiare e riordinare la cucina. Poi sbadigliando afferrò il telecomando e si buttò annoiato sul divano accendendo i cartoni animati. Passarono i minuti, trascorsero le ore e il bambino rimase nella stessa posizione per tutto il tempo con lo sguardo fisso sullo schermo.
La nonna si sedette a fare a maglia accanto a lui non prima di aver spalancato la finestra e aver messo una copertina sulle gambe del nipote che non fece un movimento. Rimase impaziente in attesa che arrivassero le quattro. Ed ecco che il campanile della Chiesa finalmente scandì i quattro fatidici rintocchi che segnavano le quattro del pomeriggio, l’ora della merenda. Ma al quarto ” Dong “ della campana ecco che accadde ciò che la vecchia signora spettava con ansia da più di tre ore. Un rumore sordo sembrò provenire da sotto il divano ed una vibrazione incominciò ad invadere l’intero mobile. Sia Luca che la nonna iniziarono a tremare come foglie al vento e come fossero stati in preda ad intensi brividi di freddo, battendo i denti rumorosamente, si aggrapparono ai braccioli vibranti del divano e non fecero in tempo a scendere prima che questo prendesse il volo e uscisse dritto dritto fuori dalla finestra spalancata.” Nonnina, nonnina ma cosa sta succedendo ho paura ! ” gridò terrorizzato Luca stringendosi alla nonna ” Non lo so tesoro, ma la tua vecchia nonna comincia ad essere troppo anziana per questo genere di avventure. Tieniti forte ! ”
Il divano intanto stava volando sopra il tetto della casa e sul giardino ed era incredibile, la sua velocità da crociera era addirittura piacevole ! La copertina, che la nonna aveva prudentemente portato, serviva giusto a coprire le gambe dalla brezza leggera, quel tanto che bastava per godersi il panorama senza prendere freddo. Il divano aveva intanto oltrepassato il piccolo steccato che delimitava il giardino della nonna e stava sorvolando i campi seminati delle campagne circostanti. Luca continuava ad essere molto spaventato, aveva il ciuffo di capelli neri diritti  sulla fronte e la stessa espressione dipinta sullo spaventapasseri che stavano oltrepassando proprio in quel momento sul campo di grano sotto di loro, le sue scarpe da ginnastica ciondolavano slacciate nel vuoto e una ciabatta della nonna era volata via. Luca si voltò verso di lei. Stava ridendo come una matta “ Guarda nonna che bel laghetto per pescare ! ” E ancora ” Garda nonna là c’è persino un campo da calcio, guarda nonna ! ” Luca non smetteva di guardare in basso e additare ogni cosa ” E lì qualcuno ha costruito una bellissima casetta sull’albero, ci voglio venire, con Gabriele e Mattia ! Domani pomeriggio e anche dopodomani ! ” I campi di grano, le cascine e i ruscelli, le colline e i frutteti, le meravigliose campagne, da quell’altezza erano così ricchi di dettagli che si potevano vedere le chiome degli alberi, i nidi degli uccellini fra i rami e il guizzare dei pesci sulla superficie dell’acqua dei torrenti.
” Nonna ma perchè Giulia e Martina non sono più venute a far merenda da noi ? E perchè Jacopo non è più venuto a giocare a palla nel nostro giardino ? Ah già…Perchè c’èrano i cartoni animati… ” Ecco che il divano sorvolava proprio in quel momento il trattore del nonno di ritorno dai campi ” Ciao nonno, siamo quassù ci vedi ? Non può sentirci vero nonna ? Ti ricordi andavo sempre con lui sul trattore dopo scuola e come mi piaceva salire dentro la cabina, mi faceva sedere sulle sue gambe e mi lasciava guidare…Poi non sono andato più con lui ! ” Il divano volò ancora per una buona mezz’ora fra campi coltivati, campagne incontaminate e casette sparse qua e là fra le colline ed ogni anfratto, ogni luogo suggeriva un mondo di idee e di avventure,  luoghi da esplorare, giochi da inventare con gli amici e i compagni di scuola.
 Il divano sorvolò contadini intenti a raccogliere i frutti con tanta fatica coltivati nell’orto e i trattori che aravano i campi. Poi fece lentamente manovra rientrando in paese. In lontananza si intravedeva nuovamente il giardino della nonna di Luca. ” Guarda nonna ma quello là non è il nostro giardino ? Quanti bei giochi non gli avevo mai visti ! ”
” Ma come Luca ” Rispose sorpresa la vecchia signora sistemandosi gli occhiali sul naso ” Sono sempre stati lì sei tu che non ci hai mai giocato. Non ricordi che mentre tu guardavi i cartoni animati tuo papà e tuo nonno li costruivano insieme per te ? ” ” No, non mi ero mai reso conto di quanto fossero belli e di quanto lavoro hanno fatto per me ” La sua espressione adesso era cambiata era davvero dispiaciuta.
Il divano volando a bassa quota planava rientrando lentamente in giardino, si soffermò ancora sulla casetta di legno in fondo allo steccato sulla cui porticina in legno era scolpita la scritta Pluto davanti alla quale, legato con una lunga corda, se ne stava rannicchiato e con l’espressione triste e rassegnata, un cagnolino. Con il musetto abbandonato tra le zampine dormiva sull’erba.” Nonna ma quello è Pluto, non ho più giocato con lui era il mio cagnolino…” ” E’ ancora il tuo cane, Luca lui non si è dimenticato di te è sempre rimasto li ad aspettarti. ” Rispose la nonna stringendo al petto l’adorato nipote. Luca incominciò a singhiozzare disperato accorgendosi di quante cose aveva dimenticato e abbandonato e trascurato per quella triste scatola quadrata che c’era in soggiorno e che si chiama televisione e di quante cose lo attendevano la fuori ogni giorno all’aria aperta, i suoi amici, la natura… Il divano intanto aveva terminato la sua missione e planando lentamente in giardino, come un enorme gabbiano sgraziato, imboccò la finestra e si posò silenzioso in soggiorno e mentre Luca correva fuori a prendere il suo cagnolino, la nonna scendeva zoppicando su una ciabatta sola e metteva a scaldare un pò di latte caldo per la merenda.
Il giorno successivo a casa di Mr lampadina le lucciole robot stavano completando un delicando intervento su una macchina di nuova generazione che l’inventore stava finendo di mettere a punto quando il campanello suonò. Come al solito non aspettava nessuno e certamente non si aspettava quello che lo attendeva una volta che avrebbe aperto la porta. Quello che vide quando l’aprì, lo lasciò a bocca aperta. Davanti a lui c’erano la nonna di Luca con un gran sorriso, il suo nipotino con in braccio Pluto e dietro di loro niente popò di meno che… Udite udite… Tutto il paese ! E si perchè quando la notizia si diffuse, e la nonna di Luca ci mise davvero poco con il passa parola dato che tutti avevano il medesimo problema, tutti ma proprio tutti vollero un divano volante… E non solo, tutti da quel giorno iniziarono a fidarsi di Mr Lampadina a chiedergli le sue invenzioni e scoprirono che non era affatto un pasticcione anzi era un grande inventore. Mr Lampadina imparò a fidarsi delle persone e diventò molto più gentile, trovò tanti amici, più di quanti avesse mai potuto desiderare e non fù mai più solo … E poi ? E poi tutti  ovviamente vollero una casa Deludi Ladri Anti Sisma Brevettata anzi fù l’ivenzione del secolo !

sabato 25 gennaio 2020

Bia la farfalla curiosa

Curiosità e contenuto della favola: questo racconto narra le avventure di una farfalla molto curiosa che decide di abbandonare la sua radura incontaminata e lontana dai pericoli per andare ad esplorare la Città. E’ adatta a bambini anche piccoli ma comunque l’età minima consigliata, per il mantenimento dell’attenzione durante la lettura è di almeno tre anni


Illustrazione: Francesca Dutto
In una radura nel bosco, ai margini di un ruscello, c’èra un bellissimo prato ricco di fiori di ogni specie colorati e profumati, protetti dalle fronde degli alberi che lo circondavano, convivevano pacificamente e in armonia, animali selvatici e le più rigogliose piante di ogni genere. Era un luogo incantato per la pace e la serenità che vi regnava ed il posto ideale perchè splendide farfalle potessero volare tranquille, posandosi di fiore in fiore per succhiarne il dolce nettare e colorare il cielo con le loro ali variopinte. Fra queste viveva una simpatica farfalla azzurra, dalle sfumature meravigliose, era senza dubbio la più bella del prato ma anche la più curiosa, veniva chiamata Bia e amava molto cercare i fiori più dolci e succosi e lasciandosi cullare dal loro calice, addormentarsi la sera, per svegliarsi poi la mattina, ricoperta dalle goccioline di rugiada
Un giorno sentendosi stanca di volare sempre nello stesso prato, salutò tutti i suoi amici  e si mise ad inseguire il ruscello che scorreva, scendendo verso valle, sul suo letto di sassi rotondi. Ad un tratto un pesciolino che si lasciava trasportare dalla corrente le domandò ” Dove vai ? ” ” Scendo a valle, sono curiosa di sapere cosa c’è in fondo al ruscello. ” rispose lei. Il pesciolino nuotando ancor più in superficie continuò : ” Fai attenzione, il ruscello si getta nel lago sulle cui sponde si trova la città degli uomini, resta quassù è pericoloso ! ”
La farfalla non lo ascoltò e continuò il suo volo decisa a raggiungere il paese prima di notte. Ad un certo punto ecco che vide il lago ed il ruscello che si perdeva in esso facendo un gran rumore e sulle sponde, proprio come le aveva detto il pesciolino, si ergeva un villaggio fatto di case e strade di terra battuta. Era un paese pacifico di pescatori, persone umili che vivevano della pesca e dell’ agricoltura, le casette erano tutte uguali fatte di mattoni con il tetto a punta e il camino dal quale si levava una lunga lingua di fumo. Gli uomini si aggiravano per le strade con grandi ceste piene di legna e grosse reti colme di pesci ancora guizzanti, le donne più anziane, sedute su panche di legno facevano a maglia mentre i rispettivi mariti tiravano grossi dadi rudimentali, seduti su sghabelli fatti di tronchi tagliati attorno a lunghe tavole di pietra. Le donne occupate a fare il bucato, stendevano i panni o spazzavano la strada di fronte alla propria casa, altre preparavano torte fragranti che mettevano a raffreddare sul davanzale delle finestre. I bambini rincorrevano chiassosi palle fatte di pezza o giocavano al mercato con foglie e rametti secchi. Altri disegnavano quadrati con pezzi di mattone e saltandoci a turno all’interno sembravano divertirsi davvero tanto.
Alla farfallina sembrava proprio un bel paese, non trovava nulla di pericoloso in esso anzi, era così felice che decise che questa sarebbe stata la sua nuova casa. Così dicendo e stanca di volare, intravide un bel vaso di fiori adagiato fuori da una finestra. Erano così profumati ed invitanti che si mise a cenare e poi esausta si addormentò in uno dei loro calici com’era sua abitudine. Intanto dentro alla casa, dove viveva una bella bambina insieme alla sua mamma e al suo papà, qualcuno aveva osservato la meravigliosa farfalla e prendendo una grossa bottiglia di vetro da uno scaffale della cucina, si approfittò del fatto che la poverina era profondamente addormentata e la catturò imprigionandola dentro alla bottiglia. Sentendosi afferrare la farfalla si svegliò ritrovandosi rinchiusa in quella prigione di vetro, fuori dalla quale, due grandi occhioni color del cielo la osservavano con curiosità. Era la bambina che esterefatta dalla bellezza della farfalla, non faceva che sbatterla da una parte all’altra per farla volare, felice della conquista e del suo nuovo giocattolo.. Poi, decise che sarebbe uscita per cercarle del cibo e abbandonò la bottiglia proprio sopra al davanzale della finestra. Guardandosi intorno, Bia vide che si trovava all’interno della cameretta di quella bambina, c’èra il suo lettino, un armadio di legno, tante bambole e cubi colorati sul pavimento.
La farfalla era molto triste, da quella prigione di vetro, vedeva l’esterno senza poterlo raggiungere, non aveva nemmeno lo spazio per volare e le mancava persino l’aria che filtrava appena dal grosso tappo di sughero che bloccava l’uscita. Come se non bastasse la bambina non rientrò per molte ore e quando lo fece era ormai buio. Passarono i giorni e ben presto la piccola si dimenticò della farfalla, era sempre fuori a giocare all’aperto e quando rientrava nella sua cameretta, non faceva altro che scuotere la bottiglia o aprirne il tappo solo per gettare al suo interno qualche fiorellino raccolto ai margini della strada perchè potesse alimentarsi. La farfalla ormai era stremata : gli mancavano il suo prato, i suoi fiori e gli amici di un tempo, si pentì di aver deciso di abbandonare la sua casa e di non aver dato retta al pesciolino che l’aveva messa in guardia, decise quindi che si sarebbe lasciata morire. Si posò sopra un petalo appassito, sul fondo della bottiglia e non si mosse più.
La bambina rientrando una sera da un pomeriggio di giochi in giardino, la trovò così,  posata su un lato delle sue splendide ali e capì cosa aveva fatto. “ O mia piccola amica perdonami, ti lascerò libera e potrai tornare a volare nei prati, riuscirai mai a perdonarmi ? ” e così dicendo uscì fuori stappando la bottiglia e liberando la povera farfalla, che a fatica, trascinadosi sulle zampine, uscì e volò via. Volò per molte ore il più lontano possibile da quel villaggio e dagli uomini che lo popolavano verso la sua vera casa, la radura in mezzo al bosco, nel suo prato. Trascorsero i mesi e le stagioni si susseguirono ma Bia aveva capito la lezione, imparò ad essere più cauta ad ascoltare i consigli degli altri e  visse felice il resto della sua vita addormentandosi ogni sera nella rugiada dei suoi amati fiori ancora per molto, moltissimo tempo.

Il passerotto e l’albero che voleva prendere il Cielo


Curiosità e contenuto della favola: 

La  favola narra la storia di un grande albero, possente e saggio che sovrasta e domina con la sua chioma gigantesca una grande e meravigliosa valle meravigliosamente popolata da ogni specie animale e vegetale e che, a causa dell’egoismo della pianta, rimane completamente deserta. Per riportare la pace e la serenità che vi erano un tempo,l’ albero, l’unico essere vivente rimasto, dovrà attuare una grande trasformazione dentro se stesso e ci riuscirà grazie a un aiuto arrivato dal cielo. Questa fiaba è adatta a bambini anche piccoli ma comunque l’età minima consigliata, per il mantenimento dell’attenzione durante la lettura è di almeno quattro anni.

§  Illustrazione : Francesca Dutto

Chiudete gli occhi e poi apriteli…Fatelo ancora e ancora, poi ascoltate il rumore del vento che soffia nella valle. Ah ! Scusate, quasi dimenticavo di dirvelo, certo, dovete immaginare di essere in una grande vallata, ricca di alberi e fiori e animali di ogni genere, in mezzo alla quale sorge una minuscola collina, ecco, adesso fermatevi lì. Se volete potete sedervi, si, si anche con le gambe incrociate, e la testa appoggiata sulle braccia se siete più comodi. Ora osservate il grande albero secolare che sorge proprio al centro di quella collina, lo vedete, è il più grande di tutti e il suo tronco è possente e nodoso, segnato dal vento è da tutto il tempo che è passato sopra il suo legno e tra i suoi rami. Non vi sembrano enormi braccia che cercano di prendere il cielo? Ebbene,in passato è stato proprio così ed io, oggi, vi voglio raccontare la sua storia, avvicinatevi. No! Cosa avete capito, a me , non al grande albero… Mettetevi comodi, e ascoltate, ancora una volta il rumore del vento che soffia, perchè sarà il sottofondo di tutta la nostra storia…

Tanto, tanto tempo fà questa grande valle, era popolata come lo è oggi, da ogni sorta di specie animale e vegetale. Piante e fiori rigogliosi di ogni genere, grazie ai quali vivevano nutriti e sereni gli animali più svariati : piccole lucertole e roditori, insetti, volpi, cinghiali, lupi e cerbiatti e nel grande fiume che scorreva nel mezzo, una grande varietà di pesci, popolava le acque fluenti, le quali riflettevano il cielo e la chioma del grande albero che sovrastava la vallata. Era chiamata per questo la Valle del Grande Albero e tutti gli animali volevano abitarla perchè sapevano che lì c’era abbondanza e prosperità, al riparo delle grandi fronde, la maestosità del vecchio legno proteggeva la valle.

Il grande Albero però possedeva sia la virtù della forza, racchiusa nel suo possente legno, sia il grande difetto dell’ egoismo. Ne aveva accumulato così tanto in tutti i suoi secoli di esistenza e ormai ne era talmente colmo, che non riusciva più nemmeno a trattenerlo e iniziò a disperderlo sulla valle. Come fosse veleno, la linfa, fuoriusciva dalle foglie della sua chioma e lentamente, goccia dopo goccia, si diffuse tra gli animali, nell’acqua del fiume e sui pesci, sugli insetti e sulle piante e tutti gli esseri viventi della valle divennero egoisti come lui.

Anno dopo anno, la Valle del Grande Albero divenne un luogo oscuro e invivibile. Il meraviglioso incanto che aveva regnato fino ad allora lentamente cessò di esistere, gli animali erano diventati cattivi gli uni con gli altri, ognuno badava a se stesso, a procurarsi il cibo per se, senza badare al prossimo e senza lasciarne alla propria famiglia. Se uno scoiattolo trovava una manciata di ghiande ad esempio, scavava una buca al riparo da occhi indiscreti, anche del proprio compagno e ve le nascondeva tutte quante. Non c’era più condivisione, amicizia, onestà. Ognuno pensava per se e basta e fù la fine. Piano piano ogni animale abbandonò la valle e le piante smisero di crescere. Anche il fiume che scorreva fluente e rumoroso, nel corso degli anni si disperse e lentamente cessò di esistere anch’esso.

A regnare in mezzo alla valle sopra alla collina restò soltanto il grande albero, con il suo enorme tronco nodoso e la sua folta chioma, nella desolazione più totale. Trascorreva tutte le sue giornate a far muovere le sue fronde nel vento e i suoi rami contorti nella speranza di scrollarsi di dosso tutte le sue foglie, non riusciva a capire, nonostante la sua enorme saggezza, che il motivo del suo egoismo non era nelle foglie o nelle gocce di linfa che esse perdevano sulla valle, ma lo stesso egoismo risiedava dentro di lui, dentro al suo stesso tronco, arrivava dalle sue radici più profonde, radicate nella collina sottostante. L’egoismo era da estirpare dentro se stesso. E così nella sua costante danza insieme al vento, l’enorme albero giorno dopo giorno perse ogni sua foglia, come desiderava e nonostante ciò si accorse di essere sempre ancora profondamente egoista.

Con i suoi enormi e contorti rami secchi, ormai completamente spogli, l’albero cercava di prendere il cielo, lo voleva con tutte le sue forze, d’altra parte era così alto, e già ci arrivava, bastava ancora un soffio di vento… Un bel giorno di primavera, un passerotto che si trovava a volare da quelle parti, fù attratto da una scena alquanto bizzarra: un’enorme albero al centro di una collina che dominava una grande valle desolata. Ma ad attirare la sua attenzione, fù soprattutto il disperato goffo tentativo della pianta gigantesca di cercare di afferrare con i suoi innumerevoli rami completamente spogli e contorti, un gruppo di nuvole che si trovavano proprio sopra ad esso. Senza pensarci troppo, si posò sopra uno di questi rami e lo canzonò:

” E quando le avrai prese che cosa ci farai con quelle nuvole ? ”

” Chi ha parlato ? ” Rispose l’Albero che non riusciva a vedere il minuscolo volatile.

” Sono Dio. ” Esclamò l’uccellino quanto mai divertito e deciso a prenderlo in giro.

” Oh  ! Mio Signore, prima volevo il cielo perchè con i miei rami arrivavo a toccarlo da mattina a sera senza mai poterne avere nemmeno un pezzetto tutto per me, adesso che sono rimasto qui tutto solo, e sono in mezzo alle nuvole tutto il giorno, voglio prenderle e attaccarmi ad esse per volare via con loro. Voglio andare via da questa valle dove mi sento tanto solo. ” rispose triste l’albero.

Il passerotto cercò di soffocare una risata immaginando l’albero che volava via attaccato alle nuvole… Poi continuò a canzonarlo sempre più divertito.

” Certo che sei solo! Questa è la valle più brutta che io abbia mai visto. E’ spoglia, senza fiori ne piante e poi non ci sono animali ! ”

” Lo so, lo so, mio Signore, ma vedi prima non era così, era bellissima. Poi il mio egoismo, contenuto nelle mie foglie ha rovinato tutto, è per questo che voglio andare via, voglio ricominciare daccapo e trovare nuovi amici. Adesso sono guarito, non sono più egoista ! ”

” Ma tu hai detto che vuoi aggrapparti alle nuvole e andartene da qui, allora vuol dire che non sei guarito, che l’egoismo risiede ancora in te. Forse è contenuto nel tuo legno. Devi estirparlo. Fiorisci !

” Fiorire ? E come dovrei fare Signore ?

” Semplice, riempi questa valle di fiori  e dai fiori nasceranno dei frutti squisiti, io chiamerò altri animali e ripopoleremo questo luogo. ”

” Si, mio Dio come tu comandi ”

L’uccellino volò via soddisfatto, credendo di aver fatto uno scherzo davvero ben riuscito e lasciando l’albero alle sue meditazioni. Nella sua profonda saggezza l’alberò pensò e ripensò e credendo di avere avuto una conversazione con Dio, giunse alla conclusione che doveva diventare al più presto un albero da frutto e per farlo, per prima cosa, doveva produrre nuovamente la sua generosa chioma.

Passarono i mesi e la valle fù nuovamente sovrastata dall’ombra delle sue fronde e mano a mano che nasceva una nuova fogliolina, l’albero perdeva un poco del suo egoismo, fino a quando un bel giorno, incominciò a fiorire. Proprio come gli aveva suggerito l’uccellino, che aveva creduto essere Dio, fiore dopo fiore, tutta la sua chioma assunse una colorazione violacea e quando anche l’ultimo dei fiori viola fù completato,  l’albero iniziò a tramutarli in grossi e profumati frutti che attirarono molti animali.

Altri frutti, i cui semi fece disperdere nella valle, servirono per far nascere nuove piante le quali popolarono tutta la vallata, dove nacquero grandi alberi simili a lui e dove finalmente non fù mai più da solo.

E l’uccellino ? Tornò per caso in quella valle  e rimase a becco aperto vedendo quel tripudio di fiori, frutti e abbondanza e quasi non la riconobbe, vide però un albero enorme sopra ad una collina, con una grande chioma fluente al vento e due piccole piante accanto a lui, protette dal vento grazie al suo tronco possente e capì che erano i suoi figli e stavano crescendo sulla collina. Ora quell’albero non sembrava più tanto goffo e non cercava più disperatamente di prendere il cielo, ne le nuvole sopra di lui. Ora tutto ciò di cui aveva bisogno era lì su quella collina, in quella valle…Anche l’uccellino decise di restare, c’era tanto spazio tra quei rami e decise che era giunta l’ora anche per lui di costruire il suo nido.


venerdì 24 gennaio 2020

L’omino di carta che attraversò il mare




Illustrazione : Francesca Dutto

Un giorno un omino di carta, decise di attraversare il mare, per vedere cosa c’èra dall’altra parte. Giunto sulla spiaggia, mise la punta di un piede di carta nell’acqua e questo s’inzuppò, facendo cadere rovinosamente l’omino sulla sabbia bagnata. Un bambino, che giocava con paletta e secchiello poco più in là, corse a soccorrerlo : ” Ma cosa fai ? Sei matto ? Tu sei un pezzo di carta, non puoi bagnarti, altrimenti ti scioglierai nell’acqua ! “ E così dicendo lo sollevò con le manine e lo mise ad asciugare al sole. Quando fù completamente asciutto, l’omino si sollevò a fatica e guardò il mare piangendo, quel bambino non c’èra più, molto probabilmente era rientrato a casa per cenare, in effetti nel frattempo era calata la sera e una grossa luna tonda riempiva il cielo punteggiato di stelle.

Il bambino però aveva dimenticato il suo secchiello e all’omino venne un’idea, se l’avesse anche solo preso in prestito ? Al suo interno l’acqua del mare non poteva raggiungerlo e lui avrebbe potuto tranquillamente attraversare la grande distesa d’acqua nera e leggermente increspata dalle onde.
Così, trascinò a fatica il secchiello fino a riva e ci saltò dentro, poi attese che un onda un pò più lunga raggiungesse la battigia e prese il mare. Le onde lo portavano sempre più lontano e lui era felice sarebbe riuscito a raggiungere quello che c’èra dall’altra parte e mentre pensava a quante avventure lo attendevano una volta giunto a destinazione, cullato dolcemente dalle onde, si addormentò.

Il mattino seguente si risvegliò di buon’ ora e il sole stava sorgendo proprio sopra di lui, lo guardò con ammirazione. ” Come sei fortunato. ” Pensò ” Tu si che da lassù puoi vedere ogni cosa, tu sai cosa c’è al di la di questo grande mare ! Presto però lo scoprirò anche io. ” Non riuscì a terminare la frase che una goccia d’acqua scese dal cielo e gli bagnò un braccino. Il povero braccio di carta si afflosciò e guardando nuovamente in alto, l’omino si accorse che stava cominciando a piovere seriamente, questa volta per lui non ci sarebbe stato scampo. Mentre il secchiello si riempiva piano piano d’ acqua e lentamente affondava sempre più giù, l’omino galleggiava zuppo d’acqua, sulla superficie del secchiello e anche se ormai aveva smesso di piovere, lui si rassegnò a disciogliersi nell’acqua salata, proprio come gli aveva detto quel bambino.

Un pesciolino che nuotava li vicino s’intristì nel vederlo così, chiamò allora a raccolta tutti i suoi amici e insime a loro, trasportò sul dorso il secchiello fino a raggiungere un isolotto poco distante. Con il musino spinsero il secchiello a riva, rovesciandone il contenuto, l’omino venne trascinato dall’acqua su alcuni sassi ai quali si appiccicò e restò così immobile. Un braccino di carta si era staccato, attese che il sole uscisse nuovamente dalle nuvole per asciugarsi completamente e con una goccia di acqua che era schizzata sopra un ciottolo lì vicino, se lo riattaccò. Si guardò intorno, si trovava su un’ altra spiaggia e decise di incamminarsi sull’isolotto quando un forte vento incominciò a soffiare e a soffiare, lui non riusciva nemmeno a restare in piedi.

Così decise di attendere che si calmasse un pochino, si mise due sassi sopra ai piedini di carta e attese oscillando nel vento che questo decidesse di lasciarlo in pace. Passava nei pressi un tappeziere che vedendo l’omino di carta fra i sassi della spiaggia, decise di prenderlo per realizzare una maschera di cartapesta per il suo bambino, dato che il Carnevale era alle porte. L’omino non potè opporre resistenza e in men che non si dica si ritrovò nel laboratorio di quell’uomo, in un grande mastello ricolmo di carta straccia e di giornali, e gli vennero gettati addosso gesso, colla da parati in polvere e colla liquida ed infine olio di lino. Poi il mastello fù riempito d’acqua e coperto. L’omino si sciolse completamente in quella mistura, unendosi agli altri pezzi di carta e giornale e rimase sul fondo del secchio per ben due giorni ad attendere il suo destino.

Il terzo giorno, il tappeziere tornò nel laboratorio e lavorò a dovere la miscela creando l’impasto, poi condusse lì il suo bambino: ” Allora Matteo, quale maschera vuoi che ti faccia il tuo papà per carnevale ? ” ” Non voglio nessuna maschera, io voglio travestirmi da marinaio ” Rispose prontamente il bambino. ” Ma ho preparato la carta devo solo creare la maschera che preferisci e adornarla ! ” ” No,no e poi no io voglio essere un marinaio, usa la cartapesta per farmi una bella barchetta così che io possa arrivare alla festa di carnevale con una nave ! ” Il padre era sconcertato ma decise di accontentare suo figlio e costruì una grande nave di carta, la verniciò con colla impermeabile, perchè il bambino potesse anche metterla in acqua e tutto contento la consegnò a Matteo. Il bambino era felicissimo e corse in spiaggia a giocare insieme agli altri bambini tutti travestiti per il Carnevale. Quando giunse la sera e il vento ricominciò a soffiare, i bambini rientrarono nelle loro case e Matteo dimenticò la sua barca sulla spiaggia.

L’omino di carta intanto si era mescolato ad altra carta e anche se non aveva più la stessa forma, si sentiva più forte che mai, più resistente e… Più grande. Ancora una volta il vento si accanì sulla spiaggia, spingendo senza volere la barchetta in acqua e questa galleggiando nello stupore dell’omino, navigava tutta fiera sospinta dal vento. Navigò giorno e notte per molto tempo, il vento soffiava sempre nella direzione della sua vela, come se volesse aiutare l’omino a realizzare il suo sogno di attraversare la grande distesa blu e raggiungere l’altra parte del mare. E ci riuscì, arrivò dall’altra parte e indovinate un pò cosa trovò ? Un’altra grande, grandissima spiaggia.

Fù così che un giorno un minuscolo omino fatto di carta e parole, nonostante le sue ridotte dimensioni e la sua fragilità, prese il largo con il suo carico, per diffondere un importante messaggio, quello di credere nei propri sogni e portarli in tanti porti lontani. Navigando giorni e notti, sospinta dai venti che soffiavano a suo favore, questa barca, approdò finalmente in acque tranquille, calme e rassicuranti. Il suo Armatore, una piccolo uomo anch’esso di carta, pieno di sogni e buona volontà l’aveva portata fino a qui, dall’altra parte del mare. Certo qualcuno aveva costruito per lui lo scafo, gli alberi e l’aveva dotata di vele ampie e forti, la barchetta aveva tutto ciò che le sarebbe servito per ” prendere il mare “. E il comandante ? Il piccolo omino di carta coraggioso che si era imbarcato in questa avventura era convinto che questa volta la sua nave sarebbe potuta arrivare ancora più lontano. Fù così che la chiamò Speranza.